Quale scienza condanna la carne?

31 Ottobre 2015 By Paolo Palmas
Secondo gli ultimi dati raccolti e pubblicati dall’OMS il consumo di carne sarebbe dannoso per la salute, e correlato ad alcune forme tumorali; i risultati della pubblicazione, benché meritevole di approfondimento, sembrano però in contrasto sia con i dati pubblicati negli ultimi anni in merito al consumo proteico (e parimenti meritevoli di attenzione), sia con le tappe evoluzionistiche dell’uomo dal punto di vista antropologico.
Oltre un milione di anni fa, lo sviluppo e la diffusione della caccia hanno reso disponibili nutrienti (fino ad allora poco presenti) che hanno promosso lo sviluppo cognitivo e anatomico dell’uomo, rendendolo più adatto a colonizzare nuove aree e dando vita alle prime forme di civiltà; senza la carne, i Primati non avrebbero mai conosciuto l’evoluzione in Homo Sapiens. La carne in tutto questo ha avuto un ruolo chiave: se il bottino della caccia e la spartizione del cibo hanno infatti da un lato modellato la capacità dell’uomo di vivere “socialmente”, dal punto di vista nutrizionale il consumo di proteine animali ha di fatto incrementato e migliorato l’assorbimento di tutti i nutrienti.
Anche la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, ha riconosciuto il valore socio-culturale dell’allevamento, promuovendolo anche in termini di sostenibilità ambientale: infatti, al di là del fatto che appare fuorviante valutare la sostenibilità di un alimento “al chilo”, a causa delle differenze nutrizionali osservabili tra le varie categorie alimentari, è stato osservato, per esempio, che un chilo di frutta, consumato in pochi pasti, ha il medesimo impatto ambientale di un chilo di carne, il cui consumo è invece distribuito su più pasti.
Negli ultimi anni molte ricerche sono state pubblicate a favore del consumo di proteine, anche animali; uno studio canadese pubblicato sull’autorevolissimo American Journal of Clinical Nutrition (Am J Clin Nutr, vol. 86, No 4, 995-1002, Oct 2007) ha proposto una rivalutazione e revisione del fabbisogno proteico medio, giudicato scarso e inadeguato per molta parte della popolazione mondiale. In un’altra importante metanalisi condotta nel 2010 (Alexander et al, Nutrition Research Reviews 2010, vol 23, (2): Dec 2010; 349-365), che ha coinvolto oltre 1,5 milioni di persone provenienti da 6 diversi studi, non è emersa alcuna correlazione tra il consumo di carne ed il rischio di cancro del colon-retto. Inoltre, è noto che il profilo alimentare di alcuni popoli ad alto tasso di longevità (come per esempio i Masai della Tanzania) è ricco di carne e pesce, e questo contrasterebbe con i dati pubblicati recentemente.
Quel che sembra paradossale è che in un momento storico in cui tutti gli indici legati alle malattie del benessere sono in crescita esponenziale (sovrappeso, obesità e diabete su tutte), si punti il dito su componenti alimentari in grado per lo meno di “limitare i danni” legati allo sviluppo di queste stesse patologie. Dati ufficiali pubblicati nel 2013 dall’American Association for Cancer Research (AACR Cancer Progress Report 2013) attribuiscono al sovrappeso ed all’obesità il 20% dei tumori, contro il 5% attribuiti alla dieta, includendo naturalmente anche il consumo di carne. Come si spiegano queste incongruità? Siamo sicuri che una porzione di carne sia più dannosa di una mela “globalizzata”, sulla quale si possono trovare fino a 42 composti chimici differenti?
Si ricorda che la stessa IARC, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, pur certificando il legame tra il consumo di carne (in particolare quella conservata) ed il cancro, non ha fornito nessuna indicazione sulle quantità ritenute corrette da consumare, sostenendo frettolosamente di non aver la competenza per fornirle.
Nutrigroup ha sempre suggerito la drastica riduzione di carni lavorate ed insaccate, soprattutto di derivazione suina; la sola presenza di sale in forti quantità è infatti già sufficiente per suggerirne un limite nutrizionale. Per il consumo delle altre carni riteniamo invece molto importante una valutazione personale del soggetto, analizzando la costituzione ed il terreno individuale, monitorando eventuali intolleranze personali e indicando, nell’ottica della variabilità delle scelte, le proteine animali e/o vegetali più compatibili biologicamente con l’individuo: e tra queste vi è anche la carne rossa.
Tutto questo, ovviamente, al netto di pratiche d’allevamento massive, incentivate dall’utilizzo di sostanze dannose per la salute, e nelle quali non si rispettino i criteri di sicurezza alimentare.
 
                                      
Paolo Palmas

Naturopata Nutrizionista, Resp. Nutrigroup