La storia di L.

30 Maggio 2007 By Paolo Palmas

una lettera di speranza

La storia di L. è dedicata a tutti i genitori che hanno un bambino con una diagnosi che può rientrare in quello che viene definito ‘spettro autistico’: autismo, tratti autistici, disturbo relazionale, disturbo generalizzato dello sviluppo e molte molte altre definizioni simili. E’ un messaggio di speranza per tutti, una storia di dolore, lacrime, ma anche di consapevolezza, gioia e trionfo. Il mio piccolo L. è il protagonista, che ha tanto sofferto, che ha combattuto e che a 7 anni è riuscito a vincere il “mostro autismo”. La storia iniziale è simile a quella di tantissimi bambini con la sua stessa diagnosi: i primi anni sono stati difficilissimi per noi genitori e soprattutto per lui, che ha dovuto patire tante sofferenze fisiche, e ha dovuto tollerare un mondo che gli appariva distorto, incomprensibile, ostile. L. è stato un bambino molto dolce e remissivo, ma a tratti si trasformava e faceva capricci terribili e immotivati, che duravano anche per ore. Non giocava con i giochi, non era interessato se non a oggetti che emettevano suoni o luci. Poteva passare delle ore a far roteare gli oggetti, a correre in tondo, a guardare l’acqua che usciva dal rubinetto, ad aprire e chiudere le porte, ad accendere e poi spegnere le luci. Era affascinato dai treni e dalle cose che si muovevano, come ventilatori e lavatrici; era terrorizzato da alcuni rumori, come quello dell’aspirapolvere, del frullatore e del rasoio elettrico. A tre anni diceva qualche parola, ma non sapeva dire né sì né no, non chiedeva, non chiamava…..non rispondeva se era chiamato. Quando L. iniziò la scuola materna, il confronto con i coetanei fu drammatico: capii che L. non aveva solo ‘un carattere particolare come avevo sempre pensato, ma che c’era qualcosa… ma non sapevo, non immaginavo cosa: L. era intelligente, di questo ne ero sicura perchè lo dimostrava… ma cosa c’era allora? Perchè all’asilo si stendeva sul banco, perchè non ascoltava, perchè non era interessato come gli altri alle costruzioni e ai giochi, perché, perché, perché? Perchè se gli facevo una domanda annaspava, si sforzava, ma non era in grado di rispondermi? Ne parlai col pediatra, che fino allora aveva sminuito i miei timori, ma stavolta ero seria, fin troppo seria e spaventata… non potette non prendermi in considerazione. Così mi consigliò di rivolgermi a una psicologa della ASL della mia città, e di fare una visita da un neuropsichiatra infantile da lui stimato. …Così ci presentammo da lui che osservò un pochino L., cercò di fargli qualche domanda, di interagire con lui, parlò con noi genitori e concluse che sicuramente il bambino NON era autistico (perchè, qualcuno forse aveva avanzato questa ipotesi?) e che era importante avere una diagnosi esatta, per poter iniziare eventualmente i dovuti trattamenti nel più breve tempo possibile. Tre mesi dopo riuscimmo ad ottenere un appuntamento nel "migliore" centro italiano,un grosso ospedale di neuropsichiatria infantile. Ci fu detto che sarebbe stato necessario un ricovero di circa tre-quattro giorni; ma quando arrivammo ci dissero che occorrevano almeno due settimane per riuscire a dare una valutazione del bambino. Ora so che i 15 giorni d’inferno trascorsi rinchiusi in quel “lager” sono stati completamente inutili, e che per ottenere una diagnosi sarebbe bastata qualche ora di osservazione specializzata. Purtroppo allora non lo sapevo. Ho davanti a me la cartella clinica giornaliera del centro: 1° giorno, colloquio coi genitori; 2°, 3° e 4° giorno NIENTE; 5° giorno, prelievo di sangue; 6° giorno: esame oculistico; 7° giorno:consulenza genetica; 8° giorno, osservazione psicologica; 9° giorno, niente; 10° giorno, niente; 11° giorno, elettroencefalogramma; 12° giorno, consulenza logopedica… poi niente fino al 15° giorno. Credo che questa ‘tabella’ si commenti da sola: per poche ore di valutazione totale io e L. siamo stati costretti a fare questa esperienza traumatica, chiusi in una struttura fatiscente e inadatta ai bambini; non c’erano, come avevo immaginato prima di arrivarci, stanze allegre e colorate, saloni pieni di giochi didattici, ma personale stanco e scostante. Ai bambini era vietato entrare nella sala mensa dove avrebbero dovuto mangiare i genitori, così eravamo costretti a chiedere un favore al vicino di stanza e recarci a turno a mangiare. L‘illustrissimo primario appariva in visita due volte a settimana, entrava nelle stanze, ascoltava le poche parole dei medici che seguivano i pazienti e annotava tutto su un block notes. Il giorno delle dimissioni …, a me e mio marito lessero un incomprensibile referto medico in cui parlarono di disturbo generalizzato dello sviluppo con note depressive. Ci dissero che il nostro ‘percorso’ sarebbe stato lungo e faticoso, che avremmo dovuto fungere da ‘contenitore emotivo’ per le crisi di rabbia di nostro figlio che, sicuramente, sarebbe diventato aggressivo e violento col passare degli anni, e che consigliavano psicoterapia (magari di gruppo, molto più moderna) e terapia farmacologica antidepressiva. Ricordo che non capii granché della relazione che ci lessero, piena di giri di parole che non significavano nulla, e che alla fine del colloquio chiesi cosa io materialmente potessi fare per aiutare L.: potevano consigliarmi qualche lettura, qualunque cosa? "Mah, signora…….", mi disse la neuropsichiatra, "cosa vuol leggere… è inutile… sì, ci sono tanti metodi, ma non perda tempo nelle letture…". Chiesi quale potesse essere la previsione migliore, qualora mio figlio, ancora piccolo, avesse avuto uno sviluppo buono. La risposta fu: " se migliora, e se riesce a recuperare, potrebbe anche arrivare ad avere una minima attività lavorativa". Fino a quel momento non avevo capito la gravità di quello che L. potesse avere, non l’avevo nemmeno sospettato. A sentire quelle parole il mondo sembrò fermarsi. Mio marito cercò debolmente di obiettare: forse il bambino è troppo piccolo per una condanna così pesante… e la dottoressa: “ma la letteratura ci dice che… blablabla…”. Mi salutarono, non riuscii nemmeno a guardarle in faccia… entrammo subito in macchina e ripartimmo per casa, …, L. piangeva. Non voglio che cresca, pensavo, Dio fa che il tempo si fermi adesso, che lui non cresca e rimanga solo il mio piccolo angelo biondo di tre anni, che non debba soffrire. … Il giorno dopo andai dalla mia pediatra. "Psicofarmaci? a un bambino di tre anni? a L.? Ma che se li prendessero loro", mi disse. Neanche io e mio marito avremmo mai voluto darli a L., così decidemmo di iniziare i trattamenti migliori offerti in Italia. Ci rivolgemmo ad un centro di riabilitazione, dove L. fece per molti mesi psicomotricità: questo era quanto veniva offerto. Chiaramente la situazione rimase quella che era. Nel frattempo iniziai affannosamente a leggere tutto il leggibile sull’argomento; trovai solo spiegazioni psicogenetiche, fino a che non mi imbattei in un sito internet in cui iniziai a leggere di cure biomediche, di implicazioni intestinali, di candida, diete senza glutine e caseina, deficit di vitamine… così telefonai ai genitori responsabili del sito, che mi indicarono un’associazione di Roma, ‘Pianetautismo’, che aveva importato in Italia un ‘nuovo’ trattamento comportamentale americano che sembrava fosse moderno ed efficace. Chiamai immediatamente. Quella fu la telefonata che ci cambiò la vita, la telefonata grazie alla quale L. si è salvato. I genitori che mi risposero al telefono, Marina e Francesco, avevano vissuto negli Stati Uniti e lì avevano avuto la possibilità di conoscere i migliori trattamenti disponibili al momento. La prima telefonata durò più di tre ore: ricevetti una valanga di informazioni, quasi tutte nuove per me. Conobbi quali sono i problemi fisici dei nostri bambini: intestino rovinato, la necessità di effettuare una dieta senza glutine e caseina, problemi metabolici, immunitari, metalli pesanti e mercurio che avvelenano i bambini, l ‘importanza di alcuni supplementi nutrizionali coma B6 e magnesio, enzimi digestivi, etc… Seppi dell’importanza della riabilitazione comportamentale precoce,delle analisi da fare, … di questi medici esperti nelle varie branche (tossicologia, gastroenterologia, immunologia) che si riunivano per mettere a disposizione degli altri le nuove conoscenze, per la creazione di un protocollo di valutazione biomedica dell’autismo con alcuni esami specifici e sofisticati per valutare cosa non funzionasse nel corpo dei nostri figli. Marina e Francesco mi aiutarono in tutto, nell’inizio della dieta, nelle analisi, in tutto. Dopo due giorni L. era già a dieta. Gli inizi della dieta furono difficili: L. ebbe (come ci aspettavamo) una ‘crisi d’astinenza’, una volta eliminati glutine e caseina che nel suo corpo si trasformavano in peptidi oppioidi e gli creavano dipendenza. Passò circa 3 settimane a piangere e gridare, era nervoso: era segno che la dieta funzionava. Dopo il periodo di malessere iniziale iniziò a migliorare lentamente… la cosa più positiva fu che smise di avere continui mal di pancia e di essere stitico! Erano passati 3 mesi dall’inizio della dieta quando decidemmo di iniziare la riabilitazione, una terapia comportamentale intensiva che utilizza un metodo specifico di insegnamento a tavolino con il sistema dei rinforzi. Con l’aiuto di Marina e della sua associazione che si occupa di questo, vennero a casa nostra per valutare L., spiegarci il metodo e assegnarci il programma una psicologa norvegese (della scuola del Prof. Eikeset) accompagnata, come collaboratrice e traduttrice, da una psicologa romana. Restarono con noi tre interi giorni, osservarono L. nel suo ambiente e all’asilo e ci spiegarono come lavorare (le regole sono precise). Ci consigliarono il manuale con gli esercizi da usare, ci diedero il programma, spiegarono che tutti, genitori, nonni, maestre (chiedemmo e ottenemmo miracolosamente il sostegno a tempo pieno), terapisti… tutti coloro che avevano a che fare con L. dovevamo attenerci alle stesse linee guida. Fu un miracolo: il sistema funzionava in maniera strabiliante. Le ore assegnateci furono 45 a settimana (l’ASL ce ne garantiva solo 6, di cui 3 di psicomotricità relazionale e 3 di logopedia). E’ stato molto difficile: io e mia sorella, che mi ha accompagnato in questo percorso, siamo dovute diventare terapiste e abbiamo dovuto studiare: ore di notte a ricercare materiale, tradurre i manuali in inglese,implementare i programmi. Abbiamo addestrato qualche neolaureata in psicologia perché ci aiutasse e sì, lo ricordo come un periodo di duro lavoro: eravamo sfinite, io consumata dalla fatica, dal sonno, dalla responsabilità. Ci hanno aiutato anche i miei nipoti e figli di amici dal momento che la terapia prevedeva anche l ‘utilizzo di bambini più grandi per imparare a giocare (area quella del gioco molto deficitaria in L.), ma ce l‘abbiamo fatta: in un anno abbiamo completato il programma. I controlli erano inizialmente ogni 3 mesi, poi ogni 6… che emozione quando L. faceva gli esami…quando il nostro e il suo lavoro veniva valutato… che gioia sapere che andava sempre meglio, sempre meglio. L. migliorava, ma la situazione era ben lontana dall’essere veramente positiva. Il tempo passava e io non ero tranquilla, sapevo che potevo fare di più, sapevo che erano a disposizioni efficaci cure biomediche negli USA e che L. aveva il diritto di essere curato. … Finalmente mi decisi, anche se tardi. Mi informai su quale fosse il miglior centro americano specializzato, preparai i passaporti e partimmo per Chicago,anche se era gennaio e le temperature lì in quel periodo sono polari, ma non volevo perdere un solo, preziosissimo giorno. Fu la migliore decisione della mia vita. Avevo un po’ di paura: cosa fare se le cure non avessero avuto nessun effetto? Ma dovevo provare, qualunque minimo ulteriore miglioramento sarebbe stato una gioia; e se non ce ne fossero stati, almeno avrei avuto la coscienza a posto nel dire che avevo provato tutto quello che c’era da fare. Al Centro Pfeiffer di Chicago i medici ci fecero due ore di domande specifiche e i prelievi per tutte le analisi necessarie per valutare gli squilibri biochimici di L.. Sospettarono per lui un disturbo dell’emoglobina che causa deficit di zinco e B6.Tornammmo a casa e dopo qualche settimana ricevemmo i risultati, i commenti e un trattamento specifico individualizzato. Dalle analisi venne fuori che L. aveva: – pirroluria altissima – elevate istamine e problemi di sottometilazione – deficit di zinco – scorretto rapporto rame-zinco- sindrome da malassorbimento – avvelenamento da metalli pesanti . Tutto quello che avevo letto essere tipici ritrovamenti delle analisi di questo tipo di bambini era presente… guardavo e riguardavo le analisi e tutti i valori sballati… povero bimbo mio, quanto dolore, quanta sofferenza… e dire che in Italia gli era stata prescritta psicoterapia: come può la psicoterapia normalizzare queste malattie fisiche? Iniziammo il trattamento. Non credevamo ai nostri occhi… i cambiamenti fisici e comportamentali erano strepitosi: L. divenne allegro, ingrossò mettendo massa muscolare (usavamo gli enzimi per le difficoltà di assorbimento), il colorito grigio divenne roseo, le occhiaie scure sparirono, il linguaggio e soprattutto i capricci migliorarono, imparò a colorare a scrivere, a leggere parole semplici. Il mio pediatra guardò le analisi stupefatto, e mi disse che non aveva mai visto niente di simile: da allora mi appoggia incondizionatamente e so che a una coppia di genitori ha consigliato di andare nello stesso centro americano. Dopo 6 mesi tornammo a Chicago per la visita di controllo e nuove analisi. Nel frattempo L. stava per iniziare (in regola) la prima elementare, ma io ero insicura, non credevo potesse farcela… Ma insieme all’inizio della scuola ci fu l’inizio dei nuovi trattamenti datici dopo ulteriori analisi, e questo fece un’ulteriore differenza. … Ieri sono andata a prendere L. da scuola. E’ uscito per mano alla sua insegnante di sostegno, che voleva parlarmi. Mi ha detto: "Questo bambino, questo bambino è… ma aspetta, vuole dirtelo l’insegnante della classe". E’ arrivata la sua insegnante,"Volevamo dirtelo insieme… L. ci stupisce ogni giorno. Per come è bravo, per come è attento e preciso, per come segue e riesce bene in tutto… L. è un bambino normale, è un bambino che non è diverso dagli altri. Non solo, il suo impegno è unico, non vuole smettere di lavorare nemmeno se è stanco, vuole riuscire. E riesce bene. Anche il suo comportamento con gli altri è normale, parla e risponde e gioca. Questo bambino è normale". Non ho capito più niente. E’ sebbene non abbia una grande confidenza con la maestra, non ho resistito: l’ho abbracciata forte e le ho dato un bacio. E poi ho iniziato a piangere, dolcissime lacrime di gioia, mentre accarezzavo i capelli del mio angelo… Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutata ad arrivare a questo, e grazie a L. per la felicità che mi ha dato. …Mi piacerebbe tanto tornare allo Stella Maris… dove tempo fa ebbe una diagnosi e peggio ancora una prognosi davvero infausta. Mi piacerebbe dirgli "Ecco signori, vi presento mio figlio, osservatelo bene e sappiate che se oggi lui è così è perché NON ho assolutamente ascoltato i vostri consigli". Non è escluso che un giorno o l’altro lo faccia davvero!Mia sorella, la zia di L., scrive: "… lo Stella Maris, quanti terribili ricordi…15 giorni interminabili, lontana da mia sorella e L. ricoverato a Pisa. Le telefonate tra me e mia sorella. Telefonate piene della sua angoscia, del mio dolore. Parlano, mi dice mia sorella di un disturbo generalizzato,la prima volta che sentivo quella parola. Mia sorella mi gridava la sua voglia di prendere L. e fuggire da li, io le dicevo di resistere, dobbiamo sapere, dicevo… e poi l‘ultimo giorno… la diagnosi… non può guarire ….chissà se raggiungerà le autonomie essenziali… e’ molto grave… farmaci antidepressivi… solo tre anni… tre anni e nulla da fare. No, la nostra esperienza non e’ fatta solo dei momenti di gioia e di successo di cui vi parliamo ora. E’ fatta anche del momento in cui rividi mia sorella di ritorno da Pisa, in cui i nostri occhi pieni di autentico terrore si incontrarono, di quando L. che non mi vedeva da 15 giorni mi passò davanti senza riconoscermi. Chiamavo il suo nome, non mi vedeva, non mi sentiva. Io per lui non esistevo. E’ fatta del momento in cui giurai che ce l’avremmo fatta, in cui giurai a mia sorella che avremmo insieme trovato il modo, insieme. “Guarda chi c’è!”, dice L. quando vede ora i suoi amici, e gli corre incontro, li abbraccia, si mette a chiacchierare con loro e progetta il suo pomeriggio… E lo Stella Maris, oggi ho visto che il suo staff partecipa ad un convegno, ecco di che parleranno: “Trattamento farmacologico nei bambini con disordini pervasivi dello sviluppo – Pharmacological treatment in children with pervasive develop mental disorders”, Gabriele Masi (Istituto di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza IRCCS Fondazione Stella Maris) e poi “Psicoterapia: epicrisi del passato prospettive future – Psychotherapy: epicrisis of thepast, and future perspectives”, Filippo Muratori, Tancredi, Maestro, Floriani (IRCCS Stella Maris) Psicofarmaci, psicoterapia, proprio cosa ci avevano consigliato per il nostro adorato L..Psicoterapia, si, per fortuna che non li abbiamo ascoltati… Per fortuna. … L., migliorato/curato/recuperato/guarito (ha importanza la parola?) ha iniziato grazie al dott. Verzella l’ultimo trattamento che gli mancava: la chelazione. Con la chelazione stiamo tentando di eliminare dal suo corpo i metalli pesanti, che avevano distrutto il suo intestino, le attività enzimatiche, il ciclo di krebs, danneggiato il sistema immunitario e quello nervoso. Credevo che L. non potesse migliorare più di quanto non avesse già fatto… ma mi sbagliavo! Siamo al quinto mese e le cose vannoa gonfie vele. L. è trasformato e sta perdendo ogni piccolo ‘residuo’. Le sue analisi sono quasi completamente normalizzate. Mangia tutto e con appetito. E’ cresciuto tanto in peso e altezza. Ma i cambiamenti sono profondi e radicali a livello di “normalità dei comportamenti”. Normalità dei discorsi. Normalità nei desideri. Normalità nei movimenti. NORMALITA’, come si può descrivere? L. progetta il suo futuro, dice che vuole sposarsi e avere un bambino da grande; scherza, ride, fa battute; parla come una trottola. E’ una gioia starci insieme: si sente grande, ha voglia di crescere… è così intelligente e pronto. … Eri destinato a un futuro infelice e ora sei qui, davanti ai miei occhi, un bambino “orgoglio dei suoi genitori”. L., tutta la famiglia insieme è riuscita ad avverare quella promessa: lautismo ora per te è solo un brutto ricordo. Ora pensa solo a vivere e a essere felice perché te lo meriti”.Lettera firmata